Ippocampo e corteccia accoppiati differenziano le memorie a lungo termine

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 18 febbraio 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I grandi narratori del passato come i neuropsicologi di oggi sapevano che le memorie autobiografiche di lunga durata sono altamente dinamiche e, se questo requisito era oggetto di indagine introspettiva e di tecnica letteraria per gli scrittori, per i ricercatori è espressione di una flessibilità dei processi di consolidamento e ritenzione, i cui pattern funzionali di rete sono ancora scarsamente conosciuti.

Nella comprensione della memoria umana conservata negli anni hanno avuto sicuramente importanza gli studi sui ricordi episodici, fra cui l’esperimento pluriennale su un’esperienza autobiografica di bambini di 5 anni condotto da Judith Hudson e Robyn Fivush (1987) può considerarsi una pietra miliare. Il setting per la formazione del ricordo era tra i migliori per creare un’impressione indelebile: in una bella giornata dei bambini furono condotti, come in un’esperienza esplorativa, in visita a un museo archeologico ebraico, dove fu data loro la possibilità di scavare all’interno di una buca di un cantiere di scavi e trovare delle copie di reperti reali, così che potessero avere l’emozione della scoperta. C’erano tutti gli elementi per un ricordo indelebile. I bambini furono convocati dopo sei settimane, poi l’anno dopo e, infine, a distanza di sei anni, quando avevano 11 anni e non erano più alla scuola elementare.

Nelle tre occasioni venivano loro rivolte domande semplici, quali: “Cosa accadde durante la visita al museo ebraico?”, se necessario seguite da domande-stimolo, come: “Ti ricordi che era un museo archeologico?”, “Ti ricordi che hai scavato nella terra?”. Infine venivano mostrate loro le fotografie che avevano documentato la visita. Facile immaginare che i bambini ricordavano tutto, e più di quanto ci si attendesse da loro, dopo un mese e mezzo e dopo un anno, ma, con sorpresa di Hudson e Fivush, all’età di 11 anni il “ricordo indelebile” non affiorava più spontaneamente alla mente. La capacità di ricordare spontaneamente i dettagli della visita era diminuita moltissimo in tutti i bambini ma, fornendo loro gli stimoli evocatori fotografici, potevano ancora recuperare fino all’87% dei dettagli che avevano fornito spontaneamente sei anni prima.

Il lavoro di Hudson e Fivush aveva sicuramente messo in evidenza l’entità dei cambiamenti nelle priorità della mente durante un periodo così importante per lo sviluppo del cervello e dell’elaborazione cognitiva, ma aveva anche ribadito un carattere generale della memoria autobiografica che riguarda anche gli adulti: i ricordi episodici non sono entità discrete evocabili come un “tutto o nulla”, tipico della memoria semantica, ma tracce registrate come attività funzionali articolate e in gran parte rievocabili attraverso una ricostruzione.

Ciascuno di noi ha fatto esperienza di ricordi del passato che sono riemersi con aspetti e particolari diversi a seconda della ragione e del contesto della rievocazione; e soprattutto i meno giovani hanno avuto occasione di rammentare cose ritenute perdute e del tutto dimenticate, rincontrando una persona con la quale avevano condiviso esperienze tanti anni prima.

In realtà, tutta la vita delle memorie delle esperienze nel cervello dei mammiferi va ben oltre i processi di ritenzione e consolidamento, e prende parte, come bene si comprende dallo studio del riequilibrio sinaptico che avviene durante il sonno, al continuo riassetto cerebrale alla base dell’equilibrio adattativo dell’organismo[1].

Un nuovo studio ha fatto luce su questi processi, fornendo un contributo significativo alla possibilità di indentificare dei markers di processi di memoria in atto e comprendere gli intimi meccanismi che portano a una ritenzione di informazione deficitaria oppure iperattiva.

Prawesh Dahal e colleghi dimostrano che le attività neuroniche dell’ippocampo e della corteccia cerebrale sono tra loro coordinate in modo differenziato, in base all’età della memoria, ossia al tempo trascorso da quando è stata formata, in base al suo tipo e in base alla sua forza.

(Dahal P. et al., Hippocampal-cortical coupling differentiates long-term memory processes. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2207909120, Feb 7, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Institute for Genomic Medicine, Columbia University Medical Center, New York, NY (USA); Department of Electrical Engineering, Columbia University, New York, NY (USA); Department of Neurology, Columbia University Medical Center, New York, NY (USA).

[Edited by Marcus Raichle, St. Louis School of Medicine, Washington University].

Vent’anni fa i convegni sulla memoria umana erano ancora gestiti da figure dominanti di neuropsicologi eminenti, che influenzavano l’uditorio con il loro carisma e in tal modo, inconsapevolmente, diffondevano un loro errore: l’apprezzamento entusiastico e incondizionato per i modelli di ripartizione della memoria li aveva portati a scambiare la rappresentazione metaforica che contenevano per una analogia. In altri termini, inducevano a ragionare come se i comparti di memoria fossero delle scatole e l’elemento da ricordare fosse un oggetto materiale posto nella scatola del “breve termine” o in quella del “lungo termine”. La rievocazione, poi, era da costoro concepita come un uncino che pesca l’oggetto munito di un occhiello per farsi uncinare, e lo porta fuori dalla scatola della memoria, ossia nello spazio aperto inteso come attualità di coscienza.

Cosa c’è di male? Si chiedeva qualcuno che mal sopportava le nostre osservazioni critiche e faceva notare che i modelli modali razionalizzavano lo studio psicologico ed erano comprensibili da tutti. Di male c’era che l’elemento che si imprime come memoria non è un soprammobile, una statuina o un pupazzetto, ma un’attività elettrochimica dalla quale dipende anche la “scatola” in cui viene riposta e che, in realtà, non esiste affatto; pensare secondo lo schema dell’oggetto materiale che si pone in una scatola, vuol dire concepire l’elemento memorizzato come una struttura del mondo esterno, portata nella sua identità in una ipotetica “camera del cervello”. Invece, la memoria è la conservazione di uno schema di attività e la rievocazione è una ricostruzione di tale attività sullo sfondo della funzione attuale.

Quando rievochiamo una tranche de vie, il cervello non prende un video da un archivio ma riproduce in modi solo parzialmente noti il pattern di attività suscitato dall’esperienza. Riflettiamo un momento su questo esempio.

L’espressione letteraria tranche de vie nasce per indicare quella tecnica letteraria di grandi narratori francesi come Marcel Proust, che rende realisticamente un frammento di vita dalla prospettiva dei contenuti di coscienza del soggetto nel corso dell’esperienza, raccogliendo descrizioni, fatti, giudizi, sentimenti, impressioni, sensazioni, portando il lettore nella dimensione mentale dell’autore in quel tempo particolare, senza preoccuparsi del rapporto con lo sviluppo della trama. Questa espressione francese aveva già una tradizione prima di Proust ed era impiegata in pittura per indicare quei dipinti che fermavano con estremo realismo sulla tela un momento di vita cittadina; verso la fine dell’Ottocento il drammaturgo Jean Jullien la rese in inglese con slice of life, espressione poi adottata nel linguaggio internazionale del teatro, del cinema e della televisione. È in questione un modo diverso dal rammentare una nozione, un dato, come nel richiamo di una memoria semantica, qui si tratta di rievocare un insieme eterogeneo di tracce di memoria che, come specifica il nostro presidente, hanno in comune l’appartenenza a un segmento temporale di esperienza psichica.

Ciascuno di noi, quando rievoca una tranche de vie, non meno di letterati, pittori e sceneggiatori, ricostruisce. E sa che la sua ricostruzione può essere incompleta, in quanto parziale o perché presenta dei vuoti, a volte colmati dai ricordi di altri testimoni, e che risente dello stato mentale in cui si rievoca: alla maggior parte delle persone in una rimpatriata fra amici vengono in mente episodi e dettagli piacevoli o divertenti, a un funerale le occasioni mancate, i rimpianti e i dispiaceri. Soprattutto, ciascuno può facilmente rendersi conto che questa rievocazione non è costituita da un oggetto ma da un processo, che, in quanto tale, presenta caratteri dinamici da studiare.

Quando morì, il filosofo Blaise Pascal indossava un farsetto, all’interno del quale trovarono cuciti due fogli: la brutta e la bella copia del testo del suo Memoriale. Si seppe, dalle persone che gli erano vicine, che quando cambiava l’abito ne faceva scucire la fodera, vi introduceva i due fogli e la faceva ricucire per avere sempre con sé l’esatto ricordo dei contenuti della sua seconda conversione, perché solo così si sentiva sicuro di non perdere quei contenuti di esperienza che già una volta aveva dimenticato.

Mentre la neuropsicologia classica delle memorie già formate studiava solo il richiamo rievocativo, la ricerca neuroscientifica è oggi attenta a ogni aspetto della vita delle memorie nel cervello, dopo la loro formazione. Grazie soprattutto alle scoperte della scuola di Eric Kandel, oggi sappiamo che alcuni caratteri biologici essenziali delle memorie a breve e lungo termine sono universali, e la struttura schematica dei processi della memoria umana può essere individuata nel paradigma neurobiologico del più semplice cervello dei roditori. La riattivazione[2] di memorie a lungo termine consente processi quali il rafforzamento dipendente dall’esperienza, il risveglio o l’aggiornamento delle tracce della memoria.

Come è noto, l’accoppiamento dei pattern di attività, rispettivamente di ippocampo e corteccia cerebrale, facilita il consolidamento iniziale della memoria; non è però stato stabilito se la simultaneità o l’associazione di questi schemi funzionali ippocampali e corticali prenda parte ai processi di post-riattivazione della memoria stessa.

Prawesh Dahal e colleghi hanno studiato questo problema nei roditori, monitorando la rete ippocampo-corteccia mentre dei ratti ripetutamente apprendevano e riutilizzavano memorie di tipo spaziale e non-spaziale.

I ricercatori hanno rilevato che le interazioni tra onde SPW-R (sharp wave ripples), fusi corticali SPI (spindles) e CXR corticali (cortical ripples) sono congiuntamente modulate in assenza di richiesta di memoria; ma le tre attività sono indipendentemente reclutate in dipendenza dello stadio della memoria e del tipo di compito appreso.

Nelle evidenze sperimentali analizzate dai ricercatori, il riconsolidamento (nuovo consolidamento) della memoria dopo il recupero era associato con una accresciuta ed estesa “finestra” di accoppiamento tra onde SPW-R dell’ippocampo e onde CXR della corteccia cerebrale, rispetto a quanto accadeva nel consolidamento iniziale. Le interazioni tra le SPW-R ippocampali e le SPI corticali sono preferenzialmente impegnate durante il consolidamento mnemonico.

Questi rilievi e, nel complesso, gli esiti di questa sperimentazione, per il cui dettaglio si rinvia al testo integrale dell’articolo originale, suggeriscono che i pattern di accoppiamento oscillatorio, specifici e limitati dal tempo, possono supportare i distinti processi di memoria richiesti per gestire in modo flessibile le memorie di lunga durata in un ambiente dinamico.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-18 febbraio 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Questi concetti sono stati sviluppati dalla nostra scuola neuroscientifica e sono illustrati nei numerosissimi scritti su questo argomento pubblicati a partire dai due aggiornamenti “Il Sonno e la Memoria” e “La Memoria e il Sonno” (v. nella sezione “AGGIORNAMENTI”).

[2] La riattivazione è un processo generale che riguarda ogni tipo di memoria, implicita o esplicita, animale o umana; per rievocazione si intende il processo di riattivazione che riporta un contenuto di memoria esplicita o dichiarativa (memoria episodica o memoria semantica) all’attualità della coscienza del soggetto.